Barbagia: cuore sardo

Lasciando Nuoro alle spalle, in direzione sud ovest, dopo aver oltrepassato la fertile incisione prodotta nel granito dal rio di Locoe, si giunge a Orgosolo.

Paese annoverato tra i più rappresentativi della cultura barbaricina. Collocato, a mo’ di vedetta ai margini di un ripido pendio, si collega attraverso vie impervie ai territori a nord del Gennargentu. La crescita d’interesse da parte del turismo nei confronti di questa minuscola realtà rurale, è dovuta ad una serie di motivi: le straordinarie qualità ambientali del territorio, la reperibilità immediata di prodotti d’origine controllata e il fascino delle tradizioni perpetuate dalle usanze locali, rese visibili nei larghi costumi in velluto e nei “gambales” indossati dalle donne del paese. Un passato più recente è al contrario impresso sulle case del piccolo centro rivestite di “murales”, oltre centosettanta, caratterizzati da chiari messaggi di propaganda politica.
E’ ad ogni modo il mese d’Agosto quello in cui la comunità di Orgosolo esprime compiutamente il suo legame con la tradizione. Dalla chiesa dell’Assunta il simulacro, nel giorno di ferragosto, è accompagnato da giovani abbigliati nei costumi locali, seguiti dalle donne anziane anch’esse in costume e da decine di cavalieri che danno spettacolo di destrezza gareggiando nella competizione della “pariglia”. L’estate fa da cornice ad un’altra giostra di cavalli: ogni anno, nella prima domenica di Giugno, si celebra Santu Anania, soldato romano, martire del cristianesimo.
Oltre al fascino delle tradizioni, Orgosolo si presta ad interessanti escursioni naturalistiche. Ad un’altezza di poco più di mille metri si trova la sorgente di Funtana Bona, immersa nella splendida foresta di Montes, ai piedi del monte Fumai.
Non distante da qui si estende l’altopiano calcareo del Supramonte, con le sue vaste e brulle distese, custodi del segreto delle spaventose maschere lignee. Alla fine di infiniti tornanti che raggiungono paesi quali Aritzo o Fonni, l’impressione che si avverte è quella di essere osservati da occhi invisibili ma tuttavia percepibili. Paesi isolati, nascosti negli anfratti dei monti. Fatto sta che i misteri della Barbagia hanno inizio sin dal nome. Il termine sembra sia stato dato dagli invasori pisani che, trovandosi a contatto con popolazioni che parlavano un linguaggio così stretto e “strano” (più vicino al latino di quanto lo sia l’italiano) tale comunque da risultare alla fine incomprensibile, avevano affibbiato loro l’etichetta di “barbari”. Geograficamente la Barbagia comprende tutti i territori che gravitano attorno al massiccio del Gennargentu. Qui, morbide colline si alternano ad aspri rilievi, separati fra loro da valli strette e incassate al punto da ostacolare lo sviluppo di una viabilità agevole. Questo territorio ha mantenuto intatta la suggestione della natura tipica del cuore della Sardegna, anche grazie alla sua conformazione orografica, resistente per secoli alle influenze provenienti dall’esterno, soprattutto dal Continente. La varietà del territorio e le differenti caratteristiche hanno portato all’identificazione di quattro tipi di Barbagia: quella di Ollolai, collegata a Fonni e Gavoi; la Mandrolisai che digrada invece dal Gennargentu verso ovest; quella di Belvì che si estende intorno a Sorgono e infine la Barbagia di Seùlo, affacciata sui contrafforti più meridionali del Gennargentu.

Nuoro alle spalle, in direzione sud ovest, dopo aver oltrepassato la fertile incisione prodotta nel granito dal rio di Locoe, si giunge a Orgosolo. Paese annoverato tra i più rappresentativi della cultura barbaricina. Collocato, a mo’ di vedetta ai margini di un ripido pendio, si collega attraverso vie impervie ai territori a nord del Gennargentu. La crescita d’interesse da parte del turismo nei confronti di questa minuscola realtà rurale, è dovuta ad una serie di motivi: le straordinarie qualità ambientali del territorio, la reperibilità immediata di prodotti d’origine controllata e il fascino delle tradizioni perpetuate dalle usanze locali, rese visibili nei larghi costumi in velluto e nei “gambales” indossati dalle donne del paese. Un passato più recente è al contrario impresso sulle case del piccolo centro rivestite di “murales”, oltre centosettanta, caratterizzati da chiari messaggi di propaganda politica.
Scorcio del paeseE’ ad ogni modo il mese d’Agosto quello in cui la comunità di Orgosolo esprime compiutamente il suo legame con la tradizione. Dalla chiesa dell’Assunta il simulacro, nel giorno di ferragosto, è accompagnato da giovani abbigliati nei costumi locali, seguiti dalle donne anziane anch’esse in costume e da decine di cavalieri che danno spettacolo di destrezza gareggiando nella competizione della “pariglia”. L’estate fa da cornice ad un’altra giostra di cavalli: ogni anno, nella prima domenica di Giugno, si celebra Santu Anania, soldato romano, martire del cristianesimo.Oltre al fascino delle tradizioni, Orgosolo si presta ad interessanti escursioni naturalistiche. Ad un’altezza di poco più di mille metri si trova la sorgente di Funtana Bona, immersa nella splendida foresta di Montes, ai piedi del monte Fumai. Non distante da qui si estende l’altopiano calcareo del Supramonte, con le sue vaste e brulle distese, custodi del segreto delle spaventose maschere lignee.

Tra i “mamutones” di Mamoiada

Tra Fonni e Nuoro c’è il piccolo paese di Mamoiada, cuore pulsante della Barbagia pastorale, che vive di tradizioni e leggende. Noto per una rinomata produzione vinicola, si accende dei colori delle sinistre maschere durante il periodo del carnevale. La domenica e il martedì grasso sfilano i mamutones, misteriosi personaggi dai mostruosi profili lignei, coperti di pelli e recanti al collo dei campanacci dai rumorosi suoni rochi. Si muovono in gruppo con incedere lento e con piccoli balzi ritmati, incantando il pubblico con il suono provocato dai movimenti del corpo. Sono accompagnati dagli “is socadores” (figuranti che lanciano la “soca”) vestiti con uno sgargiante costume rosso ornato di piccole campanelle. Questi ultimi attraverso la “soca”, laccio utilizzato per recuperare il bestiame, catturano il pubblico simulando l’atto della marchiatura. Una grande folla, insieme a numerosi turisti, giunge nel paese, per ammirare l’affascinante processione danzata e per vivere l’emozione di un rito antichissimo.

Fonni, vedetta Sarda

Il paese più alto dell’isola, con i suoi mille metri di altitudine, è Fonni, situato nella Barbagia di Ollolai, nel bacino superiore del fiume Taloro a ridosso del versante settentrionale dei monti del Gennargentu.

Sebbene la pastorizia rappresenti ancor oggi la principale attività, Fonni si sta imponendo in Sardegna per il turismo di montagna. Nei rari slarghi che si aprono fra le strade tortuose è possibile incontrare piccole chiese, fra le quali si distingue quella dedicata alla Madonna dei Martiri, voluta dai francescani nel 1600. Il complesso comprende, oltre al santuario e al convento, numerose “cumbessias” (piccole case) che, in occasione della festa annuale, si trasformano in altrettante botteghe dove artigiani e mercanti espongono alla vendita le rispettive mercanzie, perpetuando una tradizione fieristica che nel passato accompagnava tutte le feste religiose dell’area barbaricina. In occasione della festività sfilano, nell’ambito di una processione solenne, gli abitanti nei costumi tipici della zona e i “sos curillos”, cavalieri in costume.

Verso il Gennargentu

Fonni, dall’alto della sua posizione, segna la porta d’accesso alla parte più impervia e selvaggia della Sardegna ed è quindi un ideale punto di partenza per interessanti itinerari naturalistico-archeologici. Per effettuare l’escursione nel settore orientale del Gennargentu bisogna tornare a percorrere la vecchia statale 389 in direzione di Nuoro. Con un breve tratto, rallentato da una strada ricca di tornanti, si raggiunge la tomba dei giganti Madau, ben conservata e restaurata, posta ad ovest del tracciato stradale.

Complice, per l’ennesima volta, la vecchia statale che da Fonni unisce Nuoro, seguendo la strada per Desulo, si accede al settore centrale del Gennargentu. Comincia allora l’ascesa verso il punto più alto dell’isola: la fonte di Donnortei segna l’inizio di un percorso che culmina con il rifugio del monte Bruncu Spina, la cui cima si può raggiungere in poche ore di cammino. Requisiti indispensabili per affrontare la salita sono: un buon equipaggiamento, carte dettagliate dei sentieri o (meglio) l’accompagnamento di una delle guide locali; le stesse che organizzano, in estate, emozionanti scalate notturne da effettuarsi in gruppo per raggiungere il tetto dell’isola. Il tracciato approssimativo che porta alla cima viene colmato dalla meraviglia del paesaggio che si apre curva dopo curva, abbracciando contemporaneamente gran parte della Sardegna fino a scorgere, oltre il mare, un angolo di Corsica.

Tra le nuvole dell’isola

È senza alcun dubbio il tetto della Sardegna. Si chiama Gennargentu ed è il massiccio la cui punta è ammantata di neve per buona parte dell’anno. Qui, ogni cosa sembra essere cristallizzata in un’istantanea lontana nei secoli. Come il rito della raccolta delle castagne in cui le donne, vestite nei loro abiti tipici, sono intente a raccogliere la delizia dell’autunno. Golosità ripetuta anche in primavera: tra Maggio e Giugno i boschi si colorano delle tinte dei loro fiori che risaltano nella valle del Rio Aratu. Alle pendici del Gennargentu si arroccano i paesi della Barbagia, orgogliosamente rimasti chiusi a influenze esterne e depositari di antiche usanze e tradizioni: tra i più rappresentativi Desulo, nato dalla fusione di tre agglomerati un tempo indipendenti tra loro; Aritzo, preannunciato a distanza dallo spettacolare torrione calcareo di Su Texile ed Atzara, che conserva nel suo tessuto urbanistico tracce medievali.

Se Desulo è dedita a un’attività prevalentemente di pastorizia, lo stesso non si può dire di Aritzo, divenuta col tempo interessante meta turistica invernale.

Vicoli, scalette ed edifici in pietra fanno di Aritzo un borgo pittoresco, divenuto famoso nel settecento per il commercio della neve. Se la sagra della castagna è l’evento principale della città di Aritzo, la festa di Sant’Isidoro rappresenta il momento di maggiore aggregazione per il borgo di Atzara. La seconda domenica di maggio, una processione di trattori e carri addobbati sfila per le vie del centro per festeggiare il santo protettore dei lavoratori agricoli. Ieri come oggi, effigie di una Sardegna nascosta agli occhi dei più.

Quella riparata e “conservata” dall’ala protettrice del Gennargentu.

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