Invito a cena in casa Artusi

Passatelli in brodo o gramigna al sugo di salsiccia? Dilemmi di etica del gusto e amletici dubbi nella scala del sapore accompagnano chi varca le soglie di uno dei sacelli eno-gastronomici, per antonomasia. Signori e signore: benvenuti in casa Artusi.

Oltre la nebbia, sapore di casa

“La nebbia agli arti colli, pioviginando sale”. Niente maestrale nell’orizzonte ma una lattiginosa coltre dal sapore amniotico. Complice il molle dondolio del treno mi lascio cullare fino al capolinea di Forlì. Il mare non è distante. Si respira salsedine e i discorsi della sua risacca si intrecciano nel filare dei pini marittimi. Gli stessi che profilano e custodiscono la provinciale verso il paese dall’ancestrale tiritera. Si trova a Forlimpopoli la Casa Artusi. In quella lingua di terra padana lungo la via Emilia, dal nome così musicale da evocare uno stornello medioevale. Voluta da Pellegrino Artusi, lungimirante visionario dello slow food, la casa è oggi un’accademia del gusto a tutti gli effetti.

Home, sweet home

Nessun parco dalle sequoie millenarie ma un cortile ciottolato introduce il tempio del sapore. Varcata la soglia una biblioteca, abbecedario della cultura gastronomica nazionale. Qui, oltre a quella civica nata in virtù di una clausola testamentaria, in cui si stabiliva che tutti i volumi lasciati in eredità al Comune sarebbero stati “fondamento e principio alla formazione di una pubblica biblioteca”, sono ospitate la Collezione Artusiana e la Raccolta di gastronomia italiana. Volumi del secolo scorso e contemporanei e-book uniti dal denominatore comune delle ricette. Per un ventaglio di menù a tutto tondo: dall’antipasto all’ammazza caffè.

Mezzogiorno di cuoco


Una scala dai gradini in cotto dalle volte a botte porta alle cucine. Sono venti le postazioni completamente attrezzate dedicate agli esteti del sapore che amano indossare un grembiule. Qui gli appassionati possono migliorare le proprie competenze culinarie e i professionisti perfezionare alcune tecniche in settori specifici. È una scuola tesa a promuovere la conoscenza pratica e la manualità: i docenti sono cuochi esperti che ogni giorno preparano ricette della tradizione Artusiana o di altra ispirazione. La Scuola di Cucina di Casa Artusi dispone di un’aula predisposta per corsi pratici e dimostrativi. L’Artusi, interpretato dagli chef, è una guida ma è poi l’istinto che porta, con i suoi tentativi talvolta sapidi altrimenti insipidi, a nuove scoperte che meriteranno lo spazio di una ricetta. Sono le “variazioni su tema”, non solo fughe musicali del pentagramma ma anche la scelta di aggiungere “pizzichi” di spezie non presenti sulla guida. O di avvolgere sapori nel cartoccio dove questo non figura. Corsi per non improvvisare una lasagna e per far fronte ad desiderio di piadina home made. Lezioni sulle declinazioni della pasta: indifferenti a forme, latitudini e colori di questa. Ricette sì, ma cum grano salis. Molti suggerimenti e spazio alla fantasia, guidati da chef stellati come da casalinghe del luogo. Le regine del mestolo artusiano si chiamano Mariette, come la cuoca che traduceva in ingredienti le parole di Pellegrino. Vere paladine del matterello queste vecchiette della porta accanto, guidano gli allievi nel dedalo della pasta sfoglia per far carpir loro i segreti della lievitazione perfetta.

“La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”
“Un tempo si diceva che la minestra era la biada dell’uomo”.  Accadeva quando ebbe inizio questa storia. Così, oltre cento anni fa, il “c’era una volta” fu soppiantato dal “mondate i pomodori” e il “tutti vissero felici e contenti” dal “servite caldo e buon appetito”. Grazie alla raccolta di settecento ricette della cucina casalinga di tutta Italia, frutto di un fine lavoro di documentazione e scrittura da parte di Pellegrino Artusi e dall’indispensabile sperimentazione dei suoi cuochi  Francesco Ruffilli e Marietta Sabatini. Nel 1891 il testo fu consegnato in forma di manoscritto all’Editore Landi, che ne pubblicò a spese dell’autore la prima edizione. L’Artusi volle una tiratura limitata a mille copie, negativamente influenzato dalle sue precedenti esperienze editoriali di scarso consenso. Bastò invece circumnavigare la boa della terza stampa che il successo arrivò travolgente, generando la richiesta di nuove edizioni con un numero accresciuto di ricette e con in appendice il contributo dei lettori, che scrivevano per ringraziare l’autore e proporgli le ricette della propria tradizione. Il manuale, semplicemente noto come l’Artusi, è ancora oggi il libro più letto sulla cucina italiana. Ha contribuito a creare un minimo comun denominatore gastronomico raccogliendo tradizioni regionali e dando vita all’idea dell’Italia del gusto negli anni in cui si creava l’identità culturale del nostro paese. Soprattutto, ha dato dignità alla cucina casalinga e predicato la valorizzazione delle risorse alimentari locali. Offrendo all’Italia un inno di Mameli degno di un cucchiaio d’argento.

Il pranzo è servito
Dalla cucina al piatto, perché le sperimentazioni delle parole diventino ricette. Sono quelle dell’Artusi, servite ai tavoli del suo ristorante con accanto il numero come figura da manuale. E poi c’è l’Osteria, sita nella taverna sotterranea che propone una grande selezione di vini al calice e un buffet libero, comprendente una selezione di formaggi e salumi del territorio, pane, piadine e dolci di produzione locale. Per avere una veduta d’insieme di questa pornogastria del gusto. Guidati, in punta di forchetta, dallo chef Andrea Banfi, che vi insegnerà un’antica ricetta, segreta ai più e dall’incipit inequivocabile: “c’era una sfoglia”.

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