Olinda: lo specchio di Recife

Recife e Olinda: due volti della stessa medaglia. Il presente e il passato della dominazione portoghese nel Nord est di un paese, porta del sud America: il Brasile.

Giace placida su una baia frenata dalla barriera corallina. È Recife, la capitale del Pernambuco che, con i suoi 3 milioni di abitanti tra centro e hinterland vanta il primato di Venezia del Sud America. A favorirla nel titolo i 39 ponti che intersecano una cinquantina di canali. L’etimo della città non da adito a fraintendimenti. Croce e delizia della sua storia è data dal reef, barriera corallina che corre parallela alla costa. Qui località come Porto de Galingnas dispongono di piscine naturali in cui pesci arcobaleno si confondono con i coralli che risplendono a pelo d’acqua. Connessa al mondo marino è, per Recife, la pesca fondamentale per la città fin dalla sua fondazione. Recife sorge sull’Oceano al confluire dei fiumi Beberibe e Capibaribe agevolando così la distribuzione di pescato d’acqua dolce e salata. Ieri come oggi questa pratica viene effettuata a bordo delle jangadas, primitive zattere di tronchi, dotate di coloratissime vele tipiche della zona.

La storia infinita

Costruita come Roma su sette colli la città vive degli epigoni della dominazione portoghese. Sorta nel XVII secolo divenne uno scalo ideale per le ricche piantagioni di canna da zucchero presenti nella zona di Olinda. Solo in un secondo momento l’assetto geologico creato dalla presenza di fiumi e dal susseguirsi di barriere di scogli trasformò Recife in un porto la cui collocazione fu così strategica da portare la città a primeggiare sull’intero Brasile. L’epoca dei conquistadores fu segnata da spada e sangue. Alla progressiva riduzione degli indios della zona si assistette ad una crescita esponenziale degli engenhos; colossali stabilimenti per la lavorazione dello zucchero la cui manodopera era fornita dall’esiguo numero degli indigeni sopravvissuti all’estinzione. Il primato coloniale del Portogallo sul Brasile rimase intatto fino al 1621 quando gli Olandesi fondarono la Compagnia delle Indie Occidentali allo scopo di accaparrarsi una porta sul Sud America. Se la prima spedizione verso Salvador non portò a nulla la seconda, cinque anni dopo volta alla conquista del Pernambuco, portò alla presa di Recife. La città venne abbandonata, incendiata e rasa al suolo.

Trascorsero stagioni all’insegna di un’apparente tranquillità. Quiete che avrebbe presagito la tempesta delle lotte intestine tra i filhos da terra, coltivatori portoghesi, e i mercanti portoghesi di Recife; i mascates. Seguirono giorni intrisi di sangue scanditi da faide tra gli immigrati e gli autoctoni brasiliani. A cscontrarsi non erano solo il quarto stato e l’oligarchia dominante ma anche settori diversi della classe dirigente. Fu la corona portoghese a ripristinare l’ordine tramite la concessione ai mascares di Recife di una considerevole influenza politica ai danni di Olinda il cui futuro sembrava delineato. Apparendo tutt’altro che roseo.

O, linda situacao!


 

Le apparenze, però, spesso ingannano.

Perché la roccaforte di Olinda, a differenza della corazzatissima Recife, riuscì a sopravvivere all’incendio ad opera dei coloni nel 1631. Fu amore a prima vista quello del portoghese Duarte Chelo la prima volta che fece volare lo sguardo dal promontorio sulla collina. Olinda non poteva che chiamarsi così, bella com’era e perfetta come punto strategico a picco sulla baia.

Da allora Olinda, eletta custode ideale dell’Oceano Atlantico, splende grazie a tesori di architettura barocca e coloniale. Dalla Igreja da Misericordia, decorata all’interno con azulejos, piastrelle portoghesi realizzate in ceramica, all’imponente Igreja da Sé. Uno sguardo dal belvedere dell’Alto da Sé, per proseguire lungo Rua Bispo Coutinho fino ad incontrare il Museo de Arte Sacra de Pernambuco. Dedicate almeno un’ora a questo luogo non tanto per la collezione di fotografie della città o per quella di arte sacra ma per la storia che raccontano le mura di questo edificio: in origine palazzo episcopale e poi camara, Consiglio, di Olinda.

Mentre l’aroma del queijo coalho assado (formaggio abbrustolito infilato su un bastoncino, ndr) penetrerà i pertugi della Rua de Amparo, raggiungete la Rua 13 de Maio e perdetevi nei labirinti delle botteghe bohemien che si affacciano sul corso. Lasciatevi rapire dall’epifania degli odori e dalla policromia dei dettagli. Spiccheranno come su una tavolozza di un pittore distratto i colori sgargianti, dai forti contrasti e gettati sulle pareti, sulle finestre e sulle porte. Non sostate sugli usci e chiedete il permesso per entrare e visitare le botteghe dove lavorano artisti che utilizzando colori ad olio riproducono i dolci paesaggi brasiliani. Il rosso dei tramonti di Bahia, l’azzurro del mare di Canoa Quebrada, il giallo della sabbia di Jerì. Mentre i colori si mescoleranno e la suadente cantilena del vociare brasileiro si farà più fitta, chiudete gli occhi. Davanti a voi si aprirà lo scenario di com’era Olinda nel XVII secolo. Il suo mercato dei tessuti e degli oggetti in legno dove signorotti in panciotto con spose vestite secondo i dettami europei calcheranno la scena mentre braccianti vi raggiungeranno per offrirvi i prodotti della terra.

Stessi sguardi, stessi colori, stessi aromi.

Tutto uguale; eppure qualcosa stona all’interno di questa cornice.

È il bastoncino di queijo coalho che reggete ancora in mano.

Consumate immediatamente il suo contenuto e l’anacronismo sarà risolto.

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