Alla conquista di Siva

Di Francesco Silva

La domenica è passata smaltendo le conseguenze dell’inaspettata festa di benvenuto, svuotare la sentina, ripulire e riassettare tutto aspettando il lunedì, quando potremo finalmente fare le carte d’ingresso e girare legalmente e liberamente per la città. Scopriamo che la parte superiore delle cisterne dell’acqua è in compensato non marino, quindi marcio. Centinaia di litri d’acqua sono finite in sentina da una fessura, passando prima magicamente per un guardaroba, infradiciando una notevole quantità di vestiti. Ancora piove a dirotto: un lungo nubifragio tropicale, si potrebbe fare il bucato semplicemente appendendolo fuori. Siamo l’unica barca a vela a Suva: il resto solo cargo e pescherecci rugginosi all’ancora, sotto la pioggia incessante e i lampioni alogeni gialli del porto, nonostante il caldo benvenuto, uno scenario non proprio rasserenante.

Finalmente lunedì porta il sole, faccio il giro degli uffici, immigrazione dogana sanità e capitaneria, tutti molto gentili, non una parola a proposito della situazione politica, ai posti di blocco mi fanno ciao sorridenti. Scopro presto che il colpo di stato è avvenuto come da “programma”, cioè senza sparare un colpo e con l’apparente supporto della popolazione, stufa di una democrazia d’incerta morale e legittimità, ma soprattutto guidata dalla minoranza indiana i importata a suo tempo dagli inglesi.

Finite le formalità, tutti a terra! Chi corre a fare internet chi al mercato e in cerca di negozi, mentre respiriamo finalmente l’aria tropicale e festosa della capitale più importante e cosmopolita del Pacifico. Col sole il circolo nautico prende un’aurea dorata, poche persone in giro, aria un po’ addormentata da bassa stagione. Camminando verso il centro si attraversa la zona industriale con il carcere che prende adesso un colore alla “Papillon” piuttosto che tonalità transilvane, poi il deposito carburanti, i capannoni del porto, la distilleria della birra e del micidiale rhum Bounty a sessantotto gradi. Finalmente ci si addentra nel centro: passato il deposito degli autobus, iniziano i negozi addobbati per l’imminente Natale, musica dappertutto. La città è assalita da figiani di ogni provenienza, in visita per lo shopping natalizio dalle isole più lontane del paese o dall’estero. Le donne figiane coperte negli enormi vestitoni “Bula” che si chiamano e abbracciano rincontrandosi sono macchie di colore vivissimo contro i muri di vernice scrostata; mentre le giovani figiane agghindate stile cantante soul adocchiano i giovani energumeni che a petto nudo trasportano balle enormi di mercanzie e fasci di legumi e frutta verso il mercato. Nella folla si aggirano dignitosissimi anziani in abito tradizionale, con l’aria un po’ smarrita (venendo chissà da quale villaggio sperduto dell’interno), loro soprattutto ci sorridono con aria complice, estranei quasi quanto noi alla babele festante che è Suva. Il mercato è una struttura enorme ripieno di odori colori e varia umanità melanesiana, i banchi ricoperti di ogni frutto e legume che possano offrire i tropici. Nonostante la loro aria altera di consumati mercanti, i banconisti ci attirano mostrando i loro prodotti e spiegandoci i vari usi di ogni cosa. Essendo la nostra prima tappa nel Pacifico ci meravigliamo per vari prodotti conosciuti solo per nome: Taro, Yam, Cassava, Manioca, patate dolci e poi manghi banane papaya avocado frutto del pane e così via.

Il centro storico di Suva s’inerpica per le colline sovrastanti, numerose strade ben proporzionate con negozi di ogni tipo, alcuni sotto porticati, mercanti indiani, figiani e cinesi. Fra i palazzi di nuova fattura alcune case in stile coloniale inglese, mentre nel centro commerciale -nato decrepito- c’e’ l’unica scala mobile di Figi, delizia magica per bambini che salgono e scendono senza sosta, mentre gli anziani diffidenti preferiscono comunque le scale, oppure salgono con passo incerto ma l’espressione deliziata e sorpresa, un assaggio di modernità.

Per visitare le isole fuori dalla capitale è necessario ottenere un permesso all’ufficio degli affari interni, vogliamo ottenerlo al più presto per soddisfare il nostro desiderio di inoltrarci nelle isole remote dove la vita scorre ai ritmi immutabili della tradizione figiana, e le barriere coralline offrono il meglio delle meraviglie subacquee. La ricerca dell’ufficio giusto è da se una piccola avventura che ci mette in contatto con le persone. Chiedi di qua, infilati di là, entriamo in vari uffici sbagliati suscitando espressioni esterrefatte poi divertite ma tutti molto premurosi ad aiutarci a trovare la porta giusta. Ci fanno sedere, e con molta calma una segretaria inserisce cerimoniosamente il prestampato in un’antiquata macchina per scrivere. Per precauzione richiedo il permesso di visitare tutte le isole del settore orientale fino a Savusavu. L’incaricata di redigere il documento ci intrattiene anche per una breve lezione di etichetta figiana. Ogni villaggio e ogni isola sono governati da un capo tradizionale cui va chiesto il permesso di rimanere li: questa piccola cerimonia va accompagnata da un dono di qualche radice di Kava (Saqquona in figiano), secca o in polvere, da cui si ricava appunto la Kava, una bevanda lievemente narcotica. Normalmente essendo il capo molto anziano, s’interpone un interprete del villaggio a formulare la richiesta in lingua tradizionale e con i giusti modi. Le donne devono coprire le gambe con un pareo, e se possibile anche gli uomini, magari indossando pantaloni lunghi. Finita la lezione e ottenuto il documento, possiamo continuare ad aggirarci nei meandri del centro. La zona degli uffici amministrativi è prospiciente il vecchio centro coloniale: chiesa luterana e case bianco immacolato con colonnine e patii arredati in mobili e sedie di mogano o vimini intorno ad un enorme prato. E’ facile immaginare in un tale scenario cosi ben conservato, impeccabili ufficiali e direttori delle piantagioni inglesi riunirsi nel fine settimana per una partita a cricket o a bocce…

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