Emily in Paris: piacerà ai francesi?

Maglioni a strisce, berretti ricercati e baguette sotto il braccio, i cliché parigini sono ben noti nella cultura popolare. La serie televisiva Emily in Paris ne ha fatto un vero e proprio carattere distintivo, tanto da attirare diverse critiche dall’opinione pubblica transalpina, che si è detta offesa dalla visione stereotipata e irrealistica che la nuova serie TV offre della società francese.

Non è la prima volta che le interpretazioni televisive e cinematografiche enfatizzano gli aspetti più pittoreschi delle culture che raccontano, ma quali sono i film e le serie TV che più fedelmente rappresentano l’art de vivre à la Parisienne?

La top 5 delle serie e dei film in lingua inglese

La più votata tra le produzioni in lingua inglese è il film del 2011 Midnight in Paris, che si aggiudica il 41% dei voti, seguita da Ratatouille (2007) con il 28% e, sorprendentemente, proprio da Emily in Paris (2020) con il 16% delle preferenze. Chiudono la top 5 The Aristocats (1970) con il 4% e Julie & Julia (2009) con il 3% dei voti.

Interessante notare che solo il 2% degli intervistati ha dichiarato di non aver mai visto un film o una serie TV in lingua inglese che rappresentasse adeguatamente la loro percezione della città.

La top 5 delle serie e dei film francesi

Il film collettivo del 2006 Paris, Je T’aime, che racchiude 18 cortometraggi d’autore ambientati nei diversi quartieri della capitale, è risultato essere la rappresentazione in lingua francese più apprezzata. Il secondo posto va a “Il favoloso mondo di Amélie” (2001) con il 21%, mentre la pellicola “La Haine” (1995), vincitrice del premio per la miglior regia al Festival di Cannes e conosciuta in Italia con la traduzione “L’odio”, completa il podio con il 12% dei voti. La serie comedy “Dix pour cent”, ovvero “Chiami il mio agente!”, si posiziona al quarto posto con l’11%, mentre il commovente “Les Intouchables” (2011), il cui titolo italiano è stato adattato in “Quasi amici”, chiude al quinto posto con il 5%.

Altri suggerimenti indicati dagli intervistati sono “Moulin Rouge” (2001), “2 Giorni a Parigi” (2007), “The Eddy” (2020), “Un Americano a Parigi” (1951), “Neuilly Yo Mama!” (2009), “La Pantera Rosa” (1963), “Ultimo Tango a Parigi” (1972), e “Non sposate le mie figlie!” (2014).

Un’americana a Parigi

Indubbiamente Emily in Paris offre una visione stereotipata di come si vive nella capitale francese, ma spinge anche ad una riflessione sul “culture shock”, ovvero lo shock culturale che chi si trasferisce in un paese diverso deve affrontare. Dalla lingua al cibo, passando per le relazioni interpersonali, sono molti gli aspetti che devono essere interiorizzati quando si cambia nazione e Emily si trova spesso ad affrontare nuove situazioni.

Ecco una lista dei principali contrasti tra la cultura americana e quella francese che possiamo trovare in Emily in Paris, tra esagerazione e qualche verità: 

Shock linguistici: Emily si trasferisce a Parigi senza parlare la lingua e questo la espone a diverse incomprensioni. Appena arrivata in ufficio ed essendo nuova in città, Emily viene etichettata come “la plouc”, ovvero bifolcocampagnolo, successivamente viene definita “ringarde”, ovvero banale, scopre poi che vagina in francese si traduce al maschile “le vagin” e ordina un croissant con ripieno di preservativi, che in francese si chiamano “préservatif” parola molto vicina all’inglese “preserve” che invece significa marmellata. Scopre inoltre che i francesi sono famosi per “la petite mort”, ovvero la piccola morte: è questo il termine con cui si riferiscono all’orgasmo in virtù delle forti sensazioni fisiche che conducono ad un’esperienza fuori controllo, come appunto la morte. E ancora, in francese “collège” significa scuola media, mentre negli Stati Uniti si va al “college” dopo le scuole superiori. Allo stesso modo, medicina in inglese si dice “medicine”, parola molto vicina al termine francese “médecin”, che però significa dottore.

Shock lavorativi: mentre negli Stati Uniti vale l’approccio del “vivere per lavorare”, in Francia si preferisce “lavorare per vivere”. Tuttavia la filosofia del flâneur, termine reso celebre dal poeta simbolista Charles Baudelaire per indicare il gentiluomo che vaga oziosamente per le vie cittadine e traducibile in italiano come “bighellonare”, non è certamente la normalità di Parigi, come appare nella serie, in cui i protagonisti non iniziano a lavorare prima delle 10:30. Emily riceve anche dei commenti sull’abbigliamento, giudicato troppo colorato e anche sulla sua abitudine di sorridere sempre, vista dai colleghi come un segno di stupidità. Mentre nel primo caso l’osservazione è principalmente attribuibile al settore lavorativo della protagonista, è vero che i francesi tendono a mantenere le distanze.

Shock interpersonali: Emily si trova spesso spiazzata da “la bise”, ovvero la tradizione parigina di salutarsi con due baci, un’abitudine non diffusa in America dove il contatto fisico è più limitato. Al contrario, i locali rimproverano ad Emily un tono di voce eccessivamente alto, una differenza culturale fondata. Infine, anche la maggior inclinazione al consumo di sigarette dei francesi rispetto agli americani trova un riscontro reale.

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