Il trENO dei desideri

Di Eleonora Boggio

Aspetta sul primo binario sbuffando nuvole di carbone da un comigliolo antico e le carrozze, il cui nome 100 porte evoca fughe repentine agli arrivi e consente ai passeggeri di scendere direttamente dal proprio posto, invitano a imbarcarsi su una macchina del tempo. O meglio, su un treno del tempo. Dove non stupirebbe vedere, in disparte con la coda dell’occhio, un carrello attraversare una parete di mattoni come nel binario 9 3/4 del piccolo maghetto di Howgard. Ma non ci sono Grifondori e nemmeno TassiRossi ad attendere che quello sbuffo cominci a percorrere a ritroso i binari dell’immensa stazione di Porta Nuova. Allora, il film cambia. Con i ferrovieri in abiti d’epoca per non fare sfigurare l’antica motrice a vapore che salutano accogliendo i passeggeri per quello che sarà un viaggio nei sapori.

TrEno: binari enogastronomici

Inizia così il primo maggio su TrEno, alla ricerca di profumi. Un’immersione nelle voluttuose curve dei vigneti delle langhe. Mentre la periferia torinese sfuma in lontananza e i profili aguzzi dei palazzi dalle pareti di cristallo sbiadiscono all’orizzonte, il grigio si fa verde e le forme si ammorbidiscono. Il rumore impedisce conversazioni banali, mentre sfilano oltre i finestrini la campagna di Asti e le persone stupite ai passaggi a livello si sbracciano filmando il treno in corsa. Intanto si osserva rapiti dai finestrini, il volto del piemonte mutare fino a Canelli, capitale dello spumante, il nostrano champagne italiano.

Cattedrali sotterranee

Nomen omen, ci ricordano gli antichi e trEno, custodisce la sua missione fin dall’etimo dove il concetto sotteso non lascia adito a fraintendimenti. Il viaggio nei profumi locali prosegue all’interno di una cattedrale sotterranea; la cantina Bosca, patricinata dall’UNESCO. Lì una serie di cunicoli scavati nel tufo, consentiva ai vini di fermentare alla corretta temperatura assumendo gli aromi tipici del territorio. Milioni di bottiglie attendono la loro maturazione dieci metri sottoterra a una temperatura costante dove l’automatismo non è di casa in tutti i passaggi e le bottiglie vengono curate nel loro sviluppo: supervisionate da occhi attenti e maneggiate da dita esperte. Nelle cantine Bosca, un’installazione ricorda la grande alluvione del 1964 e la furia del torrente Belbo è ancora visibile nella ricostruzione. Accadde tutto in una notte quando la furia ruppe gli argini, inondando di fango e distruggendo i tesori sepolti. Una terra friabile, quella di Canelli piena di pregiati segreti, racconta come il migliore anfitrione, Edoardo Gancia che siede tra gli invitati svelando segreti della città in cui ci troviamo e che è diventata a tutti gli effetti terra della sua famiglia. Canelli ha un cane sul suo vessillo, eppure l’origine del nome ha dubbie identità. Ciò che è certo è che sia capitale dell’Asti Spumante a opera di Carlo, suo avo.

La strada che porta al castello

Si inerpica sulla collina, su un sentiero di ciottoli smussati dal tempo, la sternia, l’mpervio sentiero che in una sequenza di curve taglia il borgo di Villanuova, la parte più antica della città. Disseminate tra i tornanti, perle di arte barocca, come la chiesa di San Tommaso costruita in due momenti diversi e da cui parte il sentiero che porta al Castello, soprannominato via degli Innamorati per quel Peynet che donò a Canelli alcune immagini dei suoi fidanzatini. Mente il fiato si fa corto e i brusii sono respiri resi affannosi dalla pendenza, si raggiungono chiese sconsacrate e case dalle pareti sgarcianti di colori fino a piazza San Leonardo, dove speculare rispetto all’omonima chiesa si trova quella di San Rocco, edificata in pietra locale.

Il Castello di Canelli

L’ultimo tratto della “sternia” porta al cancello di un castello, nato nell’XI secolo con funzioni di difesa. Era un baluardo posto a tutela, della via commerciale che univa Asti al porto di Savona e fondaco per i tesori in caso di predoni. Smantellato nel 1617 fu ristrutturato per opera dei Marchesi Scarampi-Crielli fino a quando Carlo Gancia, dopo averlo acquistato agli inizi del ‘900 lo restaurò.

Il cancello si apre svelando la bellezza di un giardino geometrico dove i profumi dei limoni raccontano di un’estate vicina. Mentre i vitigni di uve moscato si fanno lambire dal calore di un sole di mezza primavera, ripercorriamo la strada a ritroso a bordo di quel trEno, dalle carrozze di legno e dalle tendine retrò, tra i sorrisi delle persone ai passaggi a livello e gli scatti dei curiosi ad aspettarci ai binari di Porta Nuova. Termina così una gita incantevole, a pochi chilometri dalla Mole, un primo maggio inedito che ha gettato i semi di nuove storie. Tutte da raccontare.

TrEno: per maggiori informazioni

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