Bangkok: sola andata

Di Luigi Cardarelli

Proprio verso le cinque del mattino sui finestrini del jumbo, spunta fiammante la palla rosso fuoco dal giallo contorno; è il mitico sol levante che si erge sull’immenso Pacifico. Appena fuori dall’enorme aeroporto di Bangkok, nella zona dei taxi, ti assale quella vampata di aria caldo umida, afosa, sembra quasi il respiro del tropico che tutto pervade, sembra quasi l’alito caldo ed immondo del drago.

Lungo le strade nuove e sopraelevate che portano in centro, è tutto un via vai di genti, mezzi e rumori. Quel sottofondo chiassoso, quell’energia caotica delle metropoli emergenti, delle megalopoli sconfinate.A volte guardandole bene, sembrano dei formicai o degli alveari, tanto è sinergico ed ininterrotto il loro muoversi.

L’industriosità e la laboriosità tipicamente asiatica, unita alla serenità del Buddha, al sorriso eterno del mansueto popolo Thai. Stranamente, malgrado gli ingorghi e la confusione infernale sui loro gentili volti orientali non si vede traccia di stress o della nostra collera atavica.La credenza nella reincarnazione dell’anima li rende asettici, indifferenti, neutrali e spesso felici.Sul fiume “Menam”, le barche, barchine e barchette, navigano incessantemente senza sosta; su tutto gli odori, i sapori, gli incensi ed i profumi d’oriente. Coperti spesso, da
terrificanti zaffate nauseabonde. L’assenza del vento, rende tutto più dolce e leggero, un clima calmo e disteso, quasi irreale. Il mistero dell’Indocina profonda e lontana aleggia sulle nostre vite: in Asia la gente non chiede “perchè”, ma sopratutto non prova  passioni foriere di danni.

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