General Hospital delle tartarughe

Di: Eleonora Boggio

Sala operatoria con camici e mascherine. Un ecografo per verificare la presenza di uova oltre il carapace. Ma anche vasche di “isolamento” per i malati più gravi. Primario di questa eccezionale clinica per animali corazzati nel loro carapace Daniela Freggi, che ha tradotto la professione di biologa marina in quella che è, a tutti gli effetti, una vocazione. Quattrocento tartarughe curate e rimesse in libertà ogni anno. Animali feriti, mutilati, trafitti da ami e fiocine, urtati da motoscafi e scooter d’ acqua. Un lavoro difficile, per difendere e tutelare una specie a rischio di estinzione.

Daniela Freggi, “la signora delle tartarughe” da oltre 10 anni responsabile del Centro di recupero delle tartarughe del Wwf Italia ci accoglie nel suo regno. Insieme a lei due giovani volontari e una miriade di cani che scodinzolano felici tra la stanza del museo, dove sono raccolti scheletri e reperti di tartarughe sotto formalina. La sua vita è scandita da orari ben precisi, in cui il centro realizzato con le sue stesse mani, gode di una grande importanza. «Sono gli stessi pescatori – spiega la dottoressa Freggi – a portarmi le tartarughe che finiscono nelle reti o che vengono raccolte in mare ferite dagli ami o dai motoscafi».

Anni di impegno, splendidi rapporti con i pescatori, centinaia di animali salvati. Gli ospiti sono prevalentemente tartarughe della specie Caretta-Caretta, la più comune, la Chelonia Mydas, la cui distribuzione è limitata alla parte più orientale del bacino, e la Dermochelys Coriacea, che a differenza delle altre, non si riproduce nel Mediterraneo.

Intanto, le tartarughe in convalescenza nuotano tranquille nelle vasche del Centro. Tra poche settimane alcune di loro, in una giornata di mare calmo, saranno liberate e potranno riunirsi alle altre che nuotano intorno all’isola. E, aspettando quel giorno, trascorreranno le ultime ore di permanenza, nelle capienti vasche azzurre, circondate dall’affetto della dottoressa Freggi, di tre cani, e un gatto nero. Perché l’ospedale della tartarughe di Lampedusa è veramente un paradiso per i portatori di carapace.

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