Chagos: per dire Eden

Di Francesco Silva

Chagos: a sud delle maldive
Le trecento miglia sono piacevolmente ventilate e quindi andiamo a vela per tutta la durata del viaggio, l’attraversata non è per niente pesante e il mare è calmo. L’arrivo all’atollo di Peros Banhos è quasi al tramonto, nel canale ci vengono ad accogliere i delfini che ci accompagnano fino all’ancoraggio, insieme ad un milione di uccelli (fregate, gabbiano, boobies). Buttata l’ancora ci si rende conto dello spettacolo che ci circonda.
Le Chagos furono scoperte dai portoghesi nel sedicesimo secolo ma mai abitate. Nel diciottesimo secolo i francesi portarono schiavi dall’Africa e Madagascar per lavorare la palma da cocco e lo zucchero di canna. Finalmente nel diciannovesimo secolo arrivarono gli inglesi che li resero liberi. I chagossiani, un misto di culture e lingue si mischiarono creando un loro dialetto e sistemandosi con una sopravvivenza semplice e isolana. Nel 1960 gli inglesi lasciarono l’atollo di Diego Garcia in mano agli americani per una base militare nel mezzo dell’Oceano Indiano. Essi classificarono gli abitanti come immigranti senza nessun diritto di proprietà, le piantagioni vennero vendute, le navi rifornimento smisero di arrivare, agli abitanti venne rinnegato il diritto di ritorno alle isole per poi alla fine muovere tutti tra Mauritius e Seychelles. Da allora i chagossiani, con l’aiuto del governo britannico, lottano per riconquistare il loro paradiso perduto. Nel 2007 vinsero il diritto a ritornare nelle terre native, seppure re-insediarsi in isole tornate selvagge e’ ad oggi un idea poco realizzabile. Le Chagos restano tuttora disabitate.

Ile du coin: un angolo di paradiso

Scegliamo come primo ancoraggio Ile du Coin, sul lato sud dell’atollo.
Nelle acque interne il mare è pieno di pesci tanto che nel giro di venti minuti peschiamo due bei tonnetti… uno dei quali è stato gentilmente assaggiato per metà da uno squalo che ci ha poi seguito fino all’ancoraggio.  L’isola ci rende veramente felici, è semplicemente divina e ancor di più tutta nostra! Per più di una settimana ci esercitiamo a fare gli ultimi sopravvissuti, unico impegno fisso della giornata prendere l’acqua dolce al pozzo per la
doccia serale.
Esploriamo l’interno dove si trovano tantissime abitazioni da tempo abbandonate, pozzi di acqua fresca, la chiesa, il cimitero, le piantagioni dove riconosciamo alcuni prodotti di coltura tropicale come il taro, il frutto del pane, delle mele particolarmente aspre chiamate “Blim Blim”e tanti tanti cocchi.
Incontriamo anche l’unico vero abitante dell’isola che è un asino solitario, nell’esplorare abbiamo addirittura trovato lo scheletro di quello che poteva essere il suo ex compagno. L’acqua è talmente bella che pare cristallo, i pesci per niente disturbati dalla nostra presenza nuotano con noi per poi non parlare degli squali che da queste parti non sono per niente timidi, anzi ci nuotano attorno e ci studiano, ce ne son talmente tanti che davanti
alla spiaggia c’e’ un gruppo di nuovi nati, lunghi circa venticinque centimetri che giocano fra le rocce affioranti del molo diroccato.
Le giornate all’Adamo ed Eva passano veloci, ogni giorno una missione: esplorare, nuotare, bucato al pozzo, fino a ripulire sistemare e rastrellare. La solitudine non ci pesa affatto, ogni mattina controlliamo che nessun altro sia in arrivo nella “nostra” isola.
Purtroppo una mattinata di brutto tempo proveniente dalla parte sbagliata ci fa ritornare verso l’ingresso dell’atollo per scoprire di non essere soli, altre quattro barche sono ancorate davanti a Ile Diamant.
Il brutto tempo continua per circa tre giorni con venti fortissimi, fino a ottanta o novanta chilometri orari e piogge torrenziali.
Keturah è ben ancorata e non ci muoviamo di un millimetro. Nel mentre riceviamo i nostri primi visitatori, la marina militare inglese che viene a controllare il nostro permesso. Sono un gruppo di quattro ragazzi giovani ed è bello avere qualcuno con cui chiacchierare, ci invitano alla grigliata per il giorno dopo nell’atollo vicino, rifiutiamo… è ancora troppo presto per lasciare Peros Banhos ma soprattutto non in questo tempo da lupi.
Una volta passato il maltempo iniziamo di nuovo ad esplorare, facciamo lunghe nuotare sulla barriera corallina, andiamo a vela con il nostro barchino tra le isole vicine a Ile Diamant e iniziamo a conoscere i nostri vicini. Siamo ancorati nel “quartiere francese”, pare che ogni anno i francesi diretti verso sud si fermino alle Chagos scegliendo questa posizione come ancoraggio.  Passiamo serate divertenti e facciamo grigliate sulla spiaggia, la compagnia è più che piacevole ma la voglia di sentirsi ancora come gli ultimi sopravvissuti è tanta…purtroppo il maltempo ce lo impedisce, un ciclone in formazione a settecento miglia a sud da noi ci blocca in barca per giorni.
Al primo segno di bel tempo salpiamo l’ancora e ce ne torniamo a Ile du Coin, ci manca la nostra pace e solitudine. Purtroppo non dura a lungo, dopo un paio di giorni ci raggiungono altre quattro barche e nel giro di una settimana ci ritroviamo circondati… finiti i tempi di Adamo ed Eva siamo in dieci barche.
Le giornate volano tra le nostre lente e rilassanti attività, una mattina senza rendercene conto abbiamo nuotato per quattro ore di fila, man mano che ci allontaniamo dalla barca verso Ile Fouquet il fondale diventa sempre più ricco di pesce e il corallo sempre più vivo, ci nuota affianco uno squalo di circa due metri…vediamo tantissime aragoste che furbamente si nascondono ogni volta che andiamo “armati”, ma non ci diamo per vinti, riusciamo a pescarne ben
tre per un fantastico spaghettino.
Il 31 di Marzo con enorme sorpresa arrivano i chagossiani a Ile du Coin. I britannici li accompagnano ogni paio di anni a rivisitare le loro terre e portare rispetto ai loro deceduti, ovviamente ci viene detto di non andare a terra per la durata della cerimonia.
Il giorno dopo decidiamo di cambiare e andiamo ad ancorare di fronte a Ile Fouquet. L’isola e’ proprio da cartolina e il mare sempre piu’ ricco. Vediamo polipi enormi, aragoste in passeggiata, pesci palla, pesci trombetta, squali, tartarughe e chi piu’ ne ha ne metta. Dopo una settimana di lunghissime nuotate, veleggiate con il nostro barchino e relax sulla bellissima spiaggia bianca decidiamo di spostarci nell’atollo vicino: Saloman.

Saloman: una spiaggia da paradiso terrestre

All’arrivo siamo super eccitati, ci vengono ad accogliere i delfini ne abbiamo circa una quarantina di cui uno sarà lungo due metri e mezzo…mai visto uno cosi’ grande, lo chiamo il nonno. Il nonno nuota affianco a Keturah per piu’ di mezz’ora guardandoci con il suo occhietto curioso, purtroppo man mano che ci avviciniamo all’Isola di Boddam i delfini ci lasciano, l’acqua non e’ piu’ cosi’ cristallina e bisogna star attenti ad evitare le teste di corallo. Il giorno dopo scendiamo a terra e con sorpresa notiamo che l’isola è curatissima, tutti i sentieri ripuliti, l’area comune è organizzata
con un tavolino centrale e sedie tutte attorno, il pozzo ripulito e munito di secchi di varia misura per il bucato, la zona rifiuti è super organizzata…sembra di essere ritornati in città! Incontriamo anche altri naviganti, alcuni di loro e’ il decimo anno di fila che vengono a Saloman e con gran sollievo ci garantiscono che l’acqua e’ generalmente cristallina, basta spettare la fase giusta delle maree.
Appena l’acqua si schiarisce ci buttiamo e ci accorgiamo che il nostro gavitello autocostruito si trova sopra a un enorme tappeto di corallo, andiamo per una nuotata e notiamo che la varietà di pesci e di coralli è un po’ diversa da Peros Bahnos ma soprattutto ci sono molte più tartarughe.
I giorni come al solito passano in fretta. Raccogliamo vongole, peschiamo tantissimi calamari, esploriamo l’isola e troviamo molte strutture ancora intatte tra cui la prigione, la chiesa, l’infermeria, lo spaccio, la scuola il vecchio cimitero e varie case.

Boddam: ritorno alle origini

La vita sull’isola di Boddam e’ molto piu’ intensa, ad ogni ora si trova gente chi fa grigliate, chi lava alla fonte, chi torna dalla pesca condividendo enormi pezzi di tonno a pinna gialla, perfetti per un ottimo sashimi, chiacchierate e tanti pettegolezzi…tanto che in dieci giorni iniziamo ad essere stufi e iniziamo a notare il classico atteggiamento da isolani,  tutti sanno tutto di tutti, tutti a criticare a dirti come fare questo e quello… decidiamo che e’ ora di andare. Il 21
aprile ci spostiamo a nord dell’atollo e ancoriamo  davanti all’isola di Takamaka.
Takamaka e’ anch’essa splendida, ci dedichiamo alle solite lunghe nuotate e all’esplorazione troviamo un paio di relitti di poveracci che grazie a un fortissimo colpo di vento hanno perso la barca, nuotiamo con una tartaruga che si lascia addirittura accarezzare, tutto e’ fantastico…  ma la voglia di vera civilta’ si fa sentire, il contatto con persone diverse dai croceristi oceanici si fa sempre piu’ necessario, abbiamo voglie laceranti di frutta e verdura fresca, sognamo i bar e il movimento notturno, insomma capiamo che e’ arrivato li momento di lasciare le Chagos.
Il 30 aprile, dopo piu’ di due mesi in paradiso alziamo le vele in direzione di Rodriguez Island, Mauritius­­.

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