Melk: viaggio nel Nome della Rosa

“Giunto al finire della mia vita di peccatore (…) trattenuto in questa cella del caro monastero di Melk, mi accingo a lasciare su questo vello testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui in gioventù mi accadde di assistere”.

Quello che precede è un incipit che ha segnato la storia della letteratura mondiale. Milioni di lettori si sono cimentati nella ricerca della soluzione di un enigma che, in sette giorni uccide altrettanti monaci. Chi arriverà alla fine, scoprirà che il segreto si nasconderà tra gli scaffali di una biblioteca. Ma se Adso da Melk, come il suo vate ispiratore Guglielmo da Baskerville sono personaggi nati dalla fervida mente del semiotico Umberto Eco, l’abbazia dove Adso ormai anziano verga il racconto di una storia che andava tenuta nascosta tra quelle pagine proibite, esiste. Pare che Eco, folgorato dalla costruzione barocca a meno di cento chilometri da Vienna, incastonata come una pietra dorata su una rocca tra il Danubio, nella Wachau della Bassa Austria e che appare a chi percorre l’autostrada in direzione Monaco di Baviera in tutta la sua imponenza, abbia deciso di ambientare il suo romanzo immortale.

L’abbazia di Melk tinta di giallo ocra e rosso porpora si staglia all’interno di una boscaglia, in bilico come una costruzione per bambini, su un ardito sperone affacciato sulla valle. La struttura originaria fu convertita in monastero benedettino nel 1089 dando vita ad un’abbazia, regolata e regolamentata dalla regola di San Benedetto. Ora et labora, divenne un mantra che permise all’abbazia la cui posizione la rendeva inespugnabile, di superare epidemie, guerre, saccheggi e distruzioni, diventando riparo e luogo di ristoro per ospiti eccellenti. Lo stesso Napoleone vi soggiornò per ben due volte e ancora oggi l’abbazia accoglie i pellegrini mostrandosi nell’epifania barocca che il visitatore apprezza fin dall’arrivo.

Se il clima lugubre e angusto della pellicola interpretata da Sean Connery, non si percepisce nella luminosa infilata di sale dai soffitti a cassettoni del museo, l’atmosfera cambia arrivati nella biblioteca. Tra il mappamondo e la scala a chiocchiola che conduce a una sala superiore (non visitabile), tra l’odore degli ottantacinquemila volumi miniati e delle loro pagine ingiallite e serigrafate nel cuoio, sembra quasi di sentire Adso parlare. Sottovoce, al lume intermittente di una candela che fioca illumina le sue parole, in una notte di stelle e di silenzio. Sembra di sentirlo, con la resa roca dagl anni e un leggero affanno nel fiato, raccontarsi con queste parole: “Ma, ora che sono molto, molto vecchio, mi rendo conto che di tutti i volti che dal passato mi tornano alla mente, più chiaro di tutti vedo quello della fanciulla che ha visitato tante volte i miei sogni di adulto e di vegliardo. Eppure, dell’unico amore terreno della mia vita non avevo saputo, nè seppi mai, il nome.”

E che sia vero questo amore, verosimile la sua voce o presunta tale la luce della candela, poco importa.

Related Articles