Cipro: voci e fotogrammi

Di Eleonora Boggio

Ogni viaggio ha i suoi ricordi.  Nascosti nei sensi, sollecitati e solleticati da odori, rumori, sapori che non ci appartengono nella quotidianità. Come  quello che  impalpabile si riaffaccia da una valigia chiusa e che cambia mentre la zip percorre il bordo, per evolversi restituendo frammenti di passato una volta aperta.

Francobolli che beffardi giocano con la sabbia salmastra rimasta sul fondo, arrivando a imbrogliare la matassa della memoria per far riaffiorare dettagli che sembravano perduti.  Cetriolo e olive, moussaka e  tzatziki . Il caffè turco che richiede tempo affinché il sedimento in superficie si posi sul fondo della tazzina. Invogliando il bevitore a interpretare nella polvere il futuro che verrà.

E poi ancora il frinire delle cicale, ipnotico e surreale, sulla spiaggia di Paralimni mentre Paolo guida a sinistra lungo un’autostrada deserta. Una lingua d’asfalto che taglia l’isola, come una linea di demarcazione tra il mondo reale e quello immaginifico di una natura selvaggia. Come le pietre che sfrigolano sotto le ruote lungo i tornanti verso i Monti Trodoos, dove l’aria bagnata d’umidità della pianura, lascia spazio a quella rarefatta d’alta quota.

Le mura veneziane di Nicosia, caotica di voci e zigomi stranieri, il grido straziante dei gabbiani che annunciano il loro tuffo a pelo d’acqua, nelle onde spumose al largo di Cape Greko. La radio ancorata su una stazione che trasmette sirtaki, la melodia dondolata degli aoristi dal passato millenario, ripassati per gioco sotto le rovine di Kourion.

Frammenti che affollano la cornice di un viaggio, tutto in una valigia aperta. Pronta per essere riempita con le miglia di una nuova destinazione, serbando però Cipro, la prescelta da Afrodite, in un cantuccio speciale del cuore.

Perchè ci sono viaggi che, come certi ricordi indelebili, sopravviveranno alla polvere delle memoria e non sbiadiranno mai.

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