La luce d’Irlanda

Luce, taglio e purezza è il segreto che dal 1783 si perpetua all’interno del Waterford Crystal Visitor Center. La fabbrica irlandese trasforma il vetro in preziosi gioielli.

Bicchieri di cristallo

Vi sentite goffi elefanti in una cristalleria? Trascorrete le giornate vagheggiando che un principe, magari biondo e di gentile aspetto, vi faccia indossare la scarpetta di cristallo, togliendovi la vostra fida ramazza dalle mani?
Ancora: il detto “De Beers” suona eccessivamente impegnativo e pur amando il taglio Amsterdam, avete l’impressione che un diamante sia un pegno d’inaudita entità? O siete semplicemente curiosi di provare l’ebbrezza di una giornata tra i cristalli, che non sia contemplata negli orizzonti della laguna di Murano?
Bene. Se disponete di almeno uno di questi requisiti andate in agenzia, prenotate un volo Aerlingus con destinazione Dublino e perdetevi nelle campagne della verdeggiante brughiera del sud est d’Irlanda. Seguite le indicazioni per la contea di Waterford e arriverete in una delle fabbriche più antiche al mondo.
Il dedalo dei suoi meandri custodisce i segreti di un’antica lavorazione e voi tornerete bambini, vestendo per un giorno i panni del piccolo Charlie della visionaria pellicola di Tim Burton. Senza compromettere la linea o intaccare il lavoro del vostro dentista. Protagonista non sarà, infatti, il cioccolato; ma il cristallo in tutte le sue sfaccettature.
La fabbrica della luce

Luce, taglio e purezza sono caratteristiche che contraddistinguono un cristallo da un altro. Proprio come accade per i diamanti. Lo sanno bene gli artigiani che lavorano all’interno del Waterford Crystal Visitor Center, culla dove il vetro si trasforma in un prezioso gioiello. Questo nome non vi dice molto? E allora vi veniamo incontro con un dato. Ricordate le immagini in mondovisione, la sera della vigilia del cambio di millennio a New York? A Times Square riluceva una sfera gigantesca disegnata e creata nella fabbrica di Waterford.
Tutto ebbe inizio nel 1783, quando George e William Penrose iniziarono la loro attività di vendita dei cristalli nel vicino porto di Waterford. L’intuizione fu quella che li portò a decidere di produrre “cristalli di grande pregio, intagliati secondo fogge ornamentali”, spostandosi questa volta nel cuore pulsante della cittadina.
La fornace

Settanta, tra i migliori artigiani del settore, furono fatti venire da Stourbdrige in Inghilterra. Nacque così la fabbrica. Nel corso degli anni l’attività divenne fiorente al punto che la piccola sede presso Ballytruckle, nel centro città, non fu più sufficiente per soddisfare la domanda di produzione richiesta. Per questo motivo nel 1947, al cospetto di un’Europa che si stava stancamente rialzando dalle bombe della seconda Guerra Mondiale, la fabbrica del cristallo fu spostata a Johnstown, in una sede più ampia. Oggi la “Waterford”, come viene sbrigativamente chiamata, si estende su un sito grande venti volte quello della prima sede voluta dai fratelli Penrose e offre prodotti rinomati per il pregio e per la finitura. Sebbene l’eccezionalità, che distingue questa fabbrica da altre, consiste nel fatto che i visitatori possono vivere in prima persona l’esperienza della nascita di un vaso in cristallo. Basta mettersi in fila e prepararsi per un viaggio a mille e trecento gradi centigradi!
In principio era il fuoco; almeno all’interno della cristalleria di Waterford.
A farci da nocchiero nel nostro viaggio nei gironi del cristallo è George, rubicondo irlandese certamente avvezzo al fascino della rossa Guinness. La prima sala che raggiungiamo è quella dei calchi in legno dove, intenti a trasformare tronchi in foggia di vasi, troviamo i maestri intagliatori. Entrando si viene travolti dall’inequivocabile odore del legno: lo speziato profumo di noce si confonde con quello della quercia. È necessario, infatti, che il legno sia particolarmente resistente, in modo che lo stampo possa essere riutilizzato più volte. Il principio, costante nel processo di lavorazione del cristallo, è quello michelangiolesco: gli intagliatori rimuovono la materia eccedente per creare la loro opera.
La stanza dell’intaglio rappresenta solo la parte introduttiva al viaggio nel cristallo, il cui vero inizio è nel segno del calore. Con doverosa cautela, mi avvicino alla fornace, che vista dall’esterno incute grande rispetto. È un fuoco primordiale quello che avvolge i vetri: plasmati dalle fiamme e sedotti dal calore.
Sono Dan e Paul, i maestri di questa sezione. Dan versa su di una lamina di metallo il vetro fuso cui Paul fa assumere la forma di un cilindro, posizionato e rimodellato in un secondo momento come impugnatura di un vaso. Se non è detto che tutte le ciambelle riescano col buco è altrettanto vero che non tutti i manici prendano forma al primo colpo. Il vetro raffreddato viene gettato così in un deposito di rifiuti destinati ad essere fusi in un nuovo ciclo di lavorazione. La fornace è trattata con deferenza è viene aperta con mosse quasi solenni. Ma è ora di proseguire; il nocchiero George sta scalpitando.

Blow up, il soffio magico

E allora via con gli ambienti successivi, dove i vetri vengono soffiati ancora artigianalmente. Sentendomi come il piccolo protagonista della pellicola “la Fabbrica di Cioccolato”, mi avvicino al mio Willy Wonka che, sebbene non assomigli a Johnny Depp, mi spiega che, per forgiare un vaso, il soffio deve essere delicato ma protratto. Afferro così con entrambe le mani la lunga canna e comincio a soffiare mentre Willy scandisce il ritmo ripetendomi “blow up” (soffia). La massa incandescente, al termine della canna cilindrica, comincia ad assumere una forma fino a quando, certa di avere un futuro nell’arte della soffiatura, mi allontano da quest’ultima con l’immediato afflosciarsi della mia creatura. La delusione si legge negli occhi; non mi resterà che dedicarmi alle native risaie per apprendere il mestiere di mondina. La carriera di artista del vetro, che i miei neuroni avevano già elaborato, è stata stroncata sul nascere.
(…continua)

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