Senegal: nel cuore di Milano

Di Isabella Pesarini

Primo pomeriggio ora italiana, ora di pranzo in Senegal. Un amico senegalese mi ha caldamente invitato alla cerimonia del battesimo musulmano della figlia, nata da una settimana. Il Senegal, Paese del Corno d’Africa di maggioranza musulmana, nasconde mille sfumature. Arrivo alle tre del pomeriggio, sicura di saltare il pranzo della cerimonia. Con grande sorpresa vengo accolta da tre giovani senegalesi che stanno arrostendo sulla brace chili e chili di agnello. Altro che saltare il pranzo! L’amico, e padrone di casa, mi saluta con un abbraccio caloroso e un sorriso altrettanto africano. Sì, perché “africano” vuol dire calore, semplicità, tanti sorrisi e tanta voglia di conoscersi e di stare insieme.
Tra fratelli e cugini del padrone di casa conto una ventina di senegalesi! A loro si aggiungono un solo grande amico del neo-papà, la moglie e la figlia di un cugino.
Mi faccio spiegare in cosa consiste la cerimonia del battesimo musulmano. Ovviamente, mi parlano del rito che viene fatto in Senegal. Alla prima settimana di vita del bambino gli si tagliano i capelli, se ne ha, e si pesano. Il peso dei capelli viene tramutato nell’equivalente in oro, che viene poi donato in beneficenza.
La bimba aveva tantissimi capelli, neri. A chi avranno donato tutto quell’oro? Il mio amico sorride. Ci sono molte ONLUS che aiutano i bambini africani bisognose di liquidi.
La mia natura di donna si preoccupa per la bimba. Con cosa avranno mai tagliato i capelli a un neonato? Il mio amico scoppia in una sonora risata, mi tranquilizza e mi dice che hanno usato una lametta piccola piccola, non sono nemmeno arrivati alla pelle della testa. Riconosco di essere caduta per l’ennesima volta nel trabochetto dei pregiudizi. Quale neo-papà rischierebbe mai di fare un solo graffio al bébé appena nato?
La bambina ora dorme serena, ha in testa un cappellino bianco.
È ora di mangiare! Tutta la famiglia senegalese è radunata in sala, dove il pavimento è stato coperto da colorati tappeti. I ragazzi senegalesi spiegano che loro sono abituati a sedersi a terra, come ogni abitudine questa è diventata sinonimo di comodità. Anch’io, da qualche anno, mi sono “abituata” a sedermi su un tappeto, per leggere un libro, per sfogliare una rivista, per meditare, per riposare. E la schiena ne ha giovato per la postura! Stare seduti per terra obbliga in qualche modo a raddrizzare le vertebre, a tenere gli addominali non completamente rilassati, si tratta di una postura che si acquisisce piano piano, senza sforzi. Ci si ritrova con la schiena dritta senza accorgersene! E si torna un po’ bambini. Essere seduti sul tappeto non comporta gli obblighi dello stare composti che si hanno a tavola.
Si mangia, si mangia! Nel pentolone ci saranno una cinquantina di costate d’agnello, ben cotte. Credo che qui non piaccia la carne al sangue. Ogni senegalese prende almeno quattro costate, ci sono ben trenta chili di carne da consumare. E siamo poco più di venti persone! L’agnello viene servito guarnito di cipolle tagliate per il lungo spesse un dito, ben rosolate e lessate, hanno assunto un bel colorito dorato. Dopo mezz’ora sono ancora alle prese con la mia sola costata, il neo-papà, il suo amico e un paio di ragazzotti sui vent’anni iniziano il bis con la quinta costata. In Senegal si mangia tanta carne! E rigorosamente dalla stessa pentola, seduti tutti attorno alla pentola, ci si serve con le mani, si poggia la carne sulla tovaglia di cotone che il padrone di casa ha steso sopra ai tappeti, e si mangia!
L’amico del padrone di casa è ufficialmente il capo-chef della cerimonia. È lui a coordinare i ragazzi per cucinare la carne sulla brace, si occupa personalmente delle cipolle e mi propone un dolce tipico. Sto boccheggiando! Lo guardo. È la versione umana ed africana di Gas Gas, il topino di Cenerentola: stesse guanciotte, stesso sguardo amichevole, stessa semplicità. Come si fa a dire di no a Gas Gas? Salterò i pasti successivi, ma assaggerò il piatto tipico che mi propone. Che cos’è? Dice che si mangia caldo, è fatto col mirto. Arriva il padrone di casa, apre il frigo e mi chiede quale gusto di yogurt preferisco. Può un intero frigorifero essere pieno zeppo di yogurt? Sì, i miei occhi lo confermano.
Dopo cinque minuti per scaldare il miglio, mi viene servito il lax, ovvero miglio caldo e yogurt, al gusto di cocco. Ne verso una quantità generosa, in modo da coprire il miglio per due dita di spessore. È buonissimo! Ammetto che probabilmente l’ideale sarebbe stato con lo yogurt bianco, ma nonostante il forte aroma del cocco riesco a percepire il gusto maltato del miglio.
Finalmente il pranzo è finito! Almeno così credo. Sono le quattro e dieci, mi viene chiesto se voglio del succo di frutta. Faccio cenno di no con la testa, Gas Gas mi guarda e ride, divertito.
Arrivano le quattro e mezza, arriva il primo giro di té, obbligatorio. Il té viene servito caldo in un bicchierino di vetro, lo assaggio, che buono! È molto dolce, ma senza dare noia. Il mio amico mi spiega che si tratta di semplice té nero a cui è stato aggiunto lo zucchero. Eppure c’è una leggera schiuma in superficie, che abbiano versato lo zucchero al momento dell’ebollizione dell’acqua?
Sono le cinque del pomeriggio. Un giovanotto non oltre i vent’anni mi offre con un gran sorriso il secondo bicchierino di té, questa volta alla menta. L’aroma della menta è enfatizzato tantissimo dall’aggiunta di zucchero, bevo il secondo bicchierino con piacere.
I senegalesi tra di loro parlano in wolof, il dialetto locale più popolare di tutto lo Stato. È una lingua molto calorosa, come chi la parla. A metà tra il francese e le lingue ancestrali di questo angolo di Africa, il wolof mette in errore chi ascolta. In effetti, quando i senegalesi parlano in wolof ho l’impressione che stiano litigando. Invece è solo il tono usato per parlare questa lingua. La si parla a voce alta e le parole si susseguono le une alle altre molto velocemente.
I fratelli si ricordano dell’ultima festa, quando con loro c’era lo zio più grande. Era stato in occasione della festa del sacrificio dell’agnello. Mi si dipinge in faccia l’espressione del disappunto. In Senegal si mangia molta carne d’agnello. Una volta all’anno ogni famiglia prende dal suo allevamento o compra un agnello, che sacrifica. Chi ha figli maschi adulti può far scegliere loro se partecipare al sacrificio, con un agnello a testa. Le famiglie numerose dividono l’agnello sacrificato con quelle con meno figli. È questo lo spirito dell’Africa: lo stare bene tutti insieme, allargando la propria famiglia con quelle vicine, senza curarsi troppo del concetto di proprietà. La cosa più importante è stare bene, così da poterlo raccontare agli amici, alla famiglia, ai figli.
Sta partendo il terzo giro di té. Non posso rischiare di non dormire per una settimana! Evitando lo sguardo di Gas Gas faccio cenno di no con la testa, abbozzando un sorriso di scuse. Gas Gas ride, mi dice che ogni bicchiere di té porta bene. A chi porta fortuna? Ogni biccherino di té equivale al buon auspicio per una moglie, quindi bere più té significa più fortuna per ogni moglie. Se bevo tre té il mio futuro marito avrà fortuna con le tre mogli. Capisco … Allora avrei dovuto fermarmi al primo giro! Gas Gas ride, sempre più divertito.
Sono conquistata dalla cultura senegalese. Generosa, disponibile, accogliente. Come quando il neo-papà impedisce alla neo-mamma di lavare i piatti, consapevole della stanchezza accumulata dopo il parto. E quando la neo-mamma cerca di approfittare dell’assenza del marito per darsi alle stoviglie, arriva prontamente Gas Gas a farne le veci. Il capo-chef farà anche i piatti! Senza problemi e con un sorriso da far arrendere la neo-mamma alle sue volontà.

Tramonto ora italiana. Saluto i venti senegalesi, è ora di tornare a casa. Sono solo a un’ora di distanza da Milano. Sì, perché non sono mai stata in Africa! Ho avuto un assaggio di cultura senegalese in una famiglia mista di Monza, il capo-famiglia senegalese, la neo-mamma italiana, la bimba appena nata … l’unione della due culture! Questa è l’evoluzione!
Arrivata a Milano, sto già preparando la valigia per il Senegal …

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