L’organizzazione mondiale del turismo prevede per il 2020 un decremento dei flussi internazionali compreso tra il -58%, nell’ipotesi più ottimistica in cui la ripartenza avverrà a luglio, al -78% in quella più pessimistica in cui il comparto si riavvierà soltanto a dicembre. Tutti i Paesi del mondo hanno applicato restrizioni alla mobilità internazionale, fatto che non ha precedenti nella storia del turismo, da metà Novecento in poi.
Per questi motivi, anche alla luce della situazione che stanno vivendo l’Europa e l’Italia, è ormai un dato assodato che il turismo troverà la propria àncora di salvezza nel breve, e forse anche nel medio periodo, nei flussi domestici, negli ultimi anni forse un po’ dimenticati dalle strategie di molti Paesi che, complice la globalizzazione, avevano puntato molto (e giustamente) sull’internazionalizzazione della domanda.
Quali saranno i potenziali effetti sul settore nel momento in cui gli italiani potranno nuovamente viaggiare e quali regioni possono “guidare” la ripresa turistica? Secondo i più recenti dati Istat le prime cinque per residenti sono Lombardia (10 milioni di abitanti), Lazio (5,9 milioni), Campania (5,8 milioni), Sicilia (5) e Veneto (4,9): da sole rappresentano infatti ben il 52% della popolazione, circa 60 milioni di persone.
La propensione al turismo genera, invece, una fotografia differente (rispetto al solo numero di abitanti) di chi in realtà traini il comparto: le prime cinque sono infatti Lombardia (46,7 milioni di presenze), Lazio (21,5 milioni), Veneto (20,4), Emilia-Romagna (19) e Campania (17,2) che “producono” da sole quasi il 60% delle presenze domestiche totali. Se consideriamo parallelamente i dati della spesa turistica degli italiani in Italia – da una nostra stima circa 65 miliardi di euro – i lombardi contribuirebbero per circa 14 miliardi, i laziali e i veneti circa 6,5 miliardi ciascuno, gli emiliani-romagnoli quasi 6 e i campani poco più di 5 miliardi di euro.
Delle prime cinque regioni citate in Figura 2 quattro hanno come prima destinazione di viaggio lo stesso ambito regionale di residenza (fa eccezione la Lombardia che è secondo mercato per i lombardi). In particolare, si segnala che un terzo delle presenze prodotte dai veneti e dagli emiliano-romagnoli resta all’interno delle rispettive regioni. Ciò si spiega con il fatto che sono molto estese ma anche perché quasi tutte dispongono di un affaccio sul mare, elemento trainante del turismo domestico. Non è un caso quindi che sia proprio la Lombardia a fare eccezione e ad avere come primo mercato l’Emilia-Romagna (Figura 3).
A fronte dello scenario delineato, si pone infine la questione di quali strategie potrebbero mettere in campo le altre regioni del Paese – oltre chiaramente a lavorare sui rispettivi mercati interni, ma certamente dai numeri molto più contenuti rispetto a quelli di cui abbiamo parlato sopra – per proporsi alle principali regioni di origine dei flussi. Probabilmente occorrerà un’azione di sistema, anche extraturistico, per garantire la sicurezza sanitaria, ovvero per far in modo che localmente si possano reggere eventuali recrudescenze del coronavirus anche tra i turisti e, dall’altra, una di prodotto. Ciò significa reingegnerizzare quelli tradizionali per farli funzionare in sicurezza – ricettività alberghiera, servizi di spiaggia, ristorazione, servizi museali ecc. – e puntare parallelamente a prodotti che per caratteristiche intrinseche presentano oggi meno fattori di rischio legati al coronavirus – ovvero tutte le attività che hanno a che fare con il turismo attivo e lento, per esempio – ma che necessitano di adeguata promozione e di servizi accessori – soprattutto digitali – che li possano rendere facilmente fruibili dai turisti.