Sabbioneta e Mantova: gemelle d’UNESCO

Di Eleonora Boggio e Paolo Roversi

Sabbioneta è un gioiello rinascimentale che l’UNESCO ha deciso di tutelare sin dal 2008 insieme alla vicina Mantova, annoverandole entrambe ed insieme nel patrimonio mondiale dell’umanità. Due città distanti pochi chilometri, da visitare insieme. Il tutto, in un fine settimana per scoprirne le bellezze e ciò che le accomuna. Due città gioiello, rese ancora più belle dalle dinastie dei Gonzaga

Scopriamole, una dopo l’altra…

Sabbioneta: la città ideale 

La genesi di una città ideale è sempre un’idea. L’archetipo della perfezione, l’assetto urbanistico, le mura erette orlate di merli e la configurazione dell’utopia, trasformata in luogo, codificata  appunto, ai tempi del rinascimento, con il nome di città ideale. La prima pietra, posata dal mecenate che aveva sognato di erigerla, era una firma dello stesso. Un autografo lasciato nel marmo, nella creta o nel laterizio. E fu di Vespasiano Gonzaga Colonna, nel 1556, il primo passo per la costruzione di una città ideale al centro della pianura padana. Trentatré chilometri la separano da Mantova, la gemella maggiore. Appare dal nulla nella piana più assoluta. Quella bruciata dal sole in estate, stordita dal frinire delle cicale e dai voli delle zanzare in amore, e lambita da lingue di nebbia quando scende l’inverno e ogni cosa si trasforma in una matassa lattiginosa che confonde i confini azzerandone le forme. Trentatré chilometri a sud, per l’esattezza della sorella maggiore. In quella porzione di Lombardia dove la parlata, i profumi e i sapori sfumano nell’Emilia. Dove a tavola il lambrusco, è la Coca-Cola dei contadini e i tortelli di zucca hanno nel ripieno gli amaretti. E, da queste melodie olfattive si viene travolti arrivando a Sabbioneta, dove, chiudendo gli occhi pare di sentire ancora il rintocco degli zoccoli dei cavalli, annunciare l’arrivo dei signori in città. Voluta e progettata da Vespasiano, mecenate che fin dal nome si rifaceva all’imperatore romano, Sabbioneta divenne un florilegio di cultura e un sacello di artisti. Dove, alla corte si incontravano a dialogare davanti a risotti al piccione e stufati d’asino, condottieri, pittori, letterati, filosofi tanto che ai giovani era stato vietato di andare a studiare le humanae litterae altrove, perché in quel piccolo lembo di Lombardia, sarebbero cresciuti con i migliori formatori. E d’altronde avrebbero risparmiato: evitando di pagare la gabella, quel balzello per soggiornare all’interno delle mura della città ideale.

Uno scrigno nel mondo

Dichiarata patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO nel 2008, Sabbioneta rappresenta un fulgido esempio di stile architettonico lombardo che fonde l’elegante equilibrio del rinascimento locale alla vibrante atmosfera del secolo entrante. E la targa, che ricorda alla città di essere uno scrigno prezioso tutelato dall’UNESCO, si trova al centro della Piazza Ducale, crocevia e sede di un mercato antico, da cui l’itinerario alla scoperta delle bellezze locali, comincia. Sede del potere temporale, il Palazzo Ducale, affacciato sull’omonima piazza, fu la residenza di Vespasiano e luogo deputato per l’amministrazione dello stato. L’edificio di due piani si apre su un lungo porticato con pilasti ed archi rivestiti di bugne di marmo bianco. Ma, come nella tradizione dei libri di Guareschi, dove c’è un municipio c’è sempre un campanile e pur non trovandoci a Brescello, nella patria di Don Camillo, accade anche nella città ideale di Sabbioneta. Dove svetta un gioiello che ospita una cappella del ‘700 progettata dall’architetto Galli Bibiena. Le spoglie dell’illuminato principe, non giacciono però lì ma nella Santissima Incoronata, a pianta ottagonale. Vespasiano progettò il suo mausoleo, scegliendone i marmi e facendo scolpire una statua dalle sue fattezze che lo ritrae con gli stessi atteggiamento e lo sguardo fiero del Marco Aurelio del Campidoglio.

La genesi del bello

Ad educare il fiero Vespasiano al culto del bello, fu la zia Giulia, nobildonna dal fascino prorompente che persino Solimano tentò di rapire. Giulia era una rivoluzionaria; si unì ai movimenti riformisti di Juan de Valdes e non poteva disegnare per il nipote un futuro da signore di pochi poderi. Ragion per cui, adolescente, partì per la corte di Spagna con il ruolo di, Paggio d’Onore dell’Infante, il futuro Filippo II. Quegli anni avrebbero forgiato il carattere e le ambizioni di Vespasiano, deciso a non essere secondo ai Gonzaga di Mantova. E nel 1540 ricevette in eredità dallo zio Ludovico Gonzaga, un fazzoletto di terra, il feudo di Sabbioneta su cui lui creò la fortuna.  Da allora la gloria di Vespasiano, il feudo e la sua capitale crebbero insieme. Sposò Anna d’Aragona, che gli diede due figli, Isabella e Luigi e, mentre i bambini crescevano nei fasti della corte tra le eccellenze rinascimentale, Sabbioneta divenne una stella, circondata da bastioni eretti sui terrapieni e tutelata da mura possenti. Una cittadella inespugnabile che decise di trasformare in una piccola Atene. E se Guglielmo a Mantova accumulava ricchezze, restando un provinciale misantropo, storpio ed infelice, Vespasiano galoppava veloce creando quella fortezza che facesse sbiadire la sorella maggiore.

Quando un’utopia diventa realtà

Utopia, deriva dal greco ed è un termine che significa “luogo che non c’è”. Tommaso Moro, la tradusse in parole, cosa che fece anni dopo il frate domenicano Tommaso Campanella, con la sua “Città del sole.” E, l’utopia è un non luogo principalmente per due motivi: perchè la perfezione non appartiene all’uomo o perchè non esiste ancora. Vespasiano riuscì a tradurre questa parola in realtà, disegnando lui stesso il paradigma della città ideale. Fece erigere la Porta Imperiale, un degno accesso per una città rinascimentale, il Palazzo Ducale e quello del Giardino, la cui modestia della facciata rustica tradisce il trionfo pittorico una volta varcato l’ingresso. Qui  lavorarono per abbellirne le stanze e la nobile galleria degli antichi, squadre di pittori e architetti blasonati. Non solo: Vespasiano, innamoratosi a Vicenza di un teatro del Palladio, seguì i lavori per costruire il Teatro all’Antica, che aprì i battenti nel 1587. Si trattava di una costruzione eccezionale per i tempi: con i foyer separati, i camerini destinati agli artisti e  un ampio spazio dedicato alle scene mobili. Il loggiato era appannaggio dei signori che osservavano le reazioni del pubblico dalla platea.  Quello fu l’ultimo mattone della sua utopia. L’ultimo desiderio plasmato dalla sua fantasia. Morì infatti nel 1591. Luigi, che avrebbe potuto proseguire il ramo lo anticipò anni prima, da adolescente, pare, per un calcio del padre. L’unica a sopravvivergli e ad ereditare i fasti della Piccola Atene fu la figlia Isabella ma il ducato sfumò a breve. Per lotte intestine di successione relative ai passaggi dinastici e per l’incapacità di proseguire l’attività da mecenate del grande Vespasiano. Sabbioneta restò così sigillata  in un presente rinascimentale.Un’icona cristallizzata alla  fine di quel secolo d’oro. Protetta dalla nebbia che cala puntualmente quando il sole si abbassa e riparata dalle mura che nascono come albe dai covoni di paglia incendiati di sole.  Merito dello sregolato genio di un uomo, pieno di contraddizioni, dall’ego smodato, dalle fattezze di un imperatore che portò, il rinascimento e i fasti di un’Atene, tutta italiana, nel cuore della Bassa. 

Il reportage continua con Mantova…

Maggiori informazioni su Mantova e Sabbioneta

 

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