Terra d’Otranto: sulle tracce degli antichi Messapi e della Grecia Salentina

Di Stefano Todisco

Natura incontaminata che si manifesta nei secolari ulivi, nell’immensa distesa di mare cristallino, nelle amplissime spiagge di fine sabbia chiara e nella macchia mediterranea fitta e alternata a terra arsa dal sole: questo è il Salento leccese, la parte meridionale di questa sub-regione peninsulare. Caratteristica ancor più curiosa è la presenza di dune desertiche miste a  bassa vegetazione, scenario tipico del litorale ugentino.

I pochi centri costieri che costituiscono l’attrattiva mondana sono oasi urbane immerse nella selva intonsa di splendidi paesaggi selvaggi, habitat di specie animali che mai un turista, per la prima volta in questi luoghi, potrebbe pensare di incontrare.

Otranto, Gallipoli e Lecce nascondono un antichissimo passato, ricordi e monumenti di un’ancestrale epoca in cui il legame tra uomo e natura era molto più vivo che ora e la diversità tra città e campagna era una barriera sociale non indifferente.

E proprio qui, nel Salento, le tradizioni sembrano restare per l’eternità, come monito e ricordo per i posteri. Nella vasta campagna ci si imbatterà spessissimo in piccole costruzioni a cupola realizzate con pietre a secco: le specchie, le pajare e più raramente i trulli (queste sono vere e proprie abitazioni, di pietre e malta, diffuse soprattutto nel tarantino e nel barese) ricordano molto le caciare abruzzesi e, insieme a queste, sono l’enigmatica variante delle torri d’avvistamento oppure delle cupole funerarie dell’antichità: le tholoi greche ed i tumuli etruschi. Questa affinità mostra come il legame della Terra d’Otranto (questo è il nome dato alla zona che fu provincia del regno delle Due Sicilie) con l’oriente ellenistico sia radicato dai primordi della civiltà.

Questa penisola abbracciata dal mar Ionio e dal mare Adriatico sa di Grecia, sa di misto fra meridione d’Italia e oriente: l’entroterra vanta una forte tradizione culturale che affonda le proprie radici negli scambi di popoli, di merci e di esperienze proprio tra genti italiche e stirpi balcaniche e, solo successivamente, bizantine. È il caso della lingua che si parla localmente, il griko, una variante del greco moderno, parlato da alcuni abitanti della Grecia Salentina creatasi dall’unione di undici comuni dell’interno.

A Zollino, tra 2 e 3  agosto si tiene la Sagra della Scéblasti, la fiera della cucina greco-salentina che prende il nome dal pane condito, tipico di questo paesino: cotto nei forni a legna, assomma la tradizione del pane ai gusti di olive, zucchine, cipolle, zucche, peperoncino e capperi.

Iniziamo con un giro nelle città turistiche della costa partendo da Gallipoli, città anfibia, in parte sull’isola-centro storico e in parte sulla terraferma prospiciente. Degni di nota sono la “fontana ellenistica” (in realtà una fontana rinascimentale, ritenuta a lungo greca a causa della sua primaria posizione nei pressi di terme antiche), realizzata con lastre che raffigurano i drammi amorosi di tre donne del mito, tramutate poi in fonti d’acqua e l’altro testimone del passato di questo comune, il cui nome greco significa “bella città”, è il Castello angioino (XIII-XIV secolo), imponente baluardo posto tra isola e terraferma.

Dopo una visita alla città, è d’obbligo rifocillarsi con un piatto locale: lo scapèce, nato dall’esigenza di conservare il pesce nei periodi delle incursioni saracene, questa pietanza si prepara con pesce marinato e fritto mischiato a mollica di pane in aceto e zafferano, da qui il colore giallo.

Per chi ancora non è soddisfatto c’è la “puccia”, una focaccia locale ripiena di olive, cipolle, capperi, pomodori, peperoncino e acciughe.

continua…

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