Di Eleonora Boggio
Sfatiamo un mito. Non è vero il detto “nemo profeta in patria”. Almeno non nel caso di Barcellona. Uno degli artefici della sua attuale identità di metropoli proteiforme è indubbiamente un architetto che, partendo da un piano urbanistico abbastanza lineare, ha trasformato Barcellona nella perla della Catalogna. Per farlo si è servito dei migliori materiali in circolazione che ha sapientemente distribuito lungo la superficie dell’intera città. Il carisma di Barcellona è insito nella sua identità, firmata Antonio Gaudì.
Modernismo: facciamo un Eixample!
Le grandi rivoluzioni sono da sempre fucina di geni. Non fa eccezione la Spagna del XIX secolo in cui affonda le radici la corrente del Modernismo. Barcellona è allora attraversata da fermenti economici e commerciali. Allo sforzo di crescere non corrisponde, però, una cornice adeguata: la capitale è costretta entro mura medievali che circoscrivono la popolazione all’interno di uno spazio troppo angusto. La situazione porta ad autentiche insurrezioni popolari che culminano con quella del 1854 in cui il popolo, abbatte le mura di Barcellona rendendo così possibile la tanto agognata espansione della capitale. Oggi l’Eixample –questo il nome dato al nuovo assetto urbanistico della città- sopravvive più fiero che mai, nei confini di un distretto che così si chiama. Il periodo è reso ancora più fiorente grazie al mecenatismo dilagante di alcuni borghesi arricchiti che commissionano edifici dedicati e firmati da importanti architetti. La “volontà di potenza” dei nuovi ricchi avrà trovato un esperanto in grado di accomunare nell’ostentazione, questo ceto in ascesa: il Modernismo.
Passeig de Gracia
Espressione dell’identità catalana, il modernismo esprime l’ansia di modernità e la volontà rinnovatrice di un periodo di grande fermento. Il movimento abbraccia più ambiti anche se il culmine lo tocca nell’espressione architettonica. La nuova borghesia finanziaria fa di questa architettura un elemento fondamentale per la propria distinzione sociale. Ragion per cui la maggioranza delle opere cittadine appartenenti al Modernismo sono sontuose residenze borghesi atte ad abbellire l’arteria commerciale della nuova città; il viale del passeig de Gracia. Lungo il corso si affacciano come giganti di pietra, le proteiformi fattezze di Casa Milà, l’azzurro di Casa Battlò, o la scala di grigi di Casa Amatller. Ognuna di queste conserva il nome del suo proprietario e tutte sono contraddistinte dal fatto di appartenere allo stesso architetto: un manipolatore della materia di nome Antonio Gaudì.
Antonio Gaudì: imprevedibile creativo
Artista isolato e solitario, Gaudì si diverte a personalizzare la sua città natia vestendola dei più disparati materiali. La pietra diventa un friabile gioco di sovrapposizioni mentre il metallo asseconda morbidamente i suoi disegni. La Pedrera è il suo più fulgido esempio. Vista dall’esterno Casa Milà –soprannominata Pedrera a causa della sua facciata che ricorda una cava di pietra grezza- incute un certo timore. Colpa dei contrasti nati dai giochi che la luce fa posandosi sulla sua facciata. O dei balconi intarsiati di foglie d’acanto che svettano verso il cielo ma il colpo d’occhio della Pedrera fa pensare ad uno scheletro. In realtà l’edificio avrebbe dovuto riprodurre il Montsalvat, imponente montagna della Catalogna sormontato da un’immagine della Vergine alta oltre 4 metri. L’attuale facciata è concepita come una gigantesca scultura, un paesaggio geologico formato da grotte marine, pura esaltazione della linea curva. La Pedrera ospita un segreto. Anzi, due. Si tratta del doppio cortile –di forma circolare l’uno e ovale l’altro- dal quale si dipartono rampe di scale che portano, come in un gigantesco alveare, a piccole celle tondeggianti. La morbidezza di forma sarà una delle cifre dominanti dell’opera di Gaudì. Paradigmatica a questo riguarda Casa Battlò, di poco precedente alla Pedrera: onirica creatura di quattro piani che si svela in tutta la sua bellezza a chi si affaccia lungo il Paseig di notte. Tre gli elementi fondamentali alla base della facciata: il rivestimento con frammenti di ceramica policroma, i balconi in ferro battuto dalle inquietanti fattezze e il tetto che rappresenta l’allegoria della leggenda di San Giorgio e il drago. A completare il trittico del Passeig, Casa Amatller commissionata dal magnate del cioccolato Antoni Amattler: l’edificio è una perfetta sintesi dell’arte catalana che coniuga tratti propri dell’architettura gotica viziandola di influenze nordiche. Graffiti geometrici, ringhiere di ferro battuto, vetrate e motivi scultorei abbelliscono, nella loro eterogeneità, l’imponente facciata.
Vetri smerigliati si alternano a piastrelle nella struttura di Casa Vicens. Non a caso il palazzo fu richiesto da Manuel Vicens, di professione fabbricante di piastrelle. Traendo ispirazione dall’arte mudejar che mescolava elementi gotici con quelli propri dell’arte araba, Gaudì azzardò in questo caso l’utilizzò delle azulejas .pastrelle- come tecnica ornamentale della facciata. A tutto vantaggio di un effetto strabiliante.
Mercati, parchi e ospedali: eclettica produzione dell’“architetto di Dio”
Una traversa della Rambla Caputxins ospita, invece, un altro gioiello. Si tratta di Palau Guell, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco nonché primo edificio nel quale Gaudì esprime il suo talento. Commissionato dal mecenate Eusebi Guell, il palazzo adempie un’importante funzione sociale e politica. Doveva essere la casa più costosa dell’epoca. La richiesta si trasformò in promessa che venne adempiuta attingendo ai migliori materiali in commercio sul mercato. Fu, così, utilizzata la pietra migliore per decorare la facciata, il ferro battuto più quotato per i balconi e l’ebano più raffinato per gli interni. Il risultato è un edificio unico, che pulsa nel cuore di Barcellona, distinguendosi per sfarzo e decori. Degno completamento della struttura arabereggiante del palazzo il tetto dai dodici camini completamente diversi tra loro realizzati con i materiali più disparati.
Il viaggio nel modernariato continua poco distante da Plaza Catalunya all’interno del pub El 4 Gats. Commissionato per l’ennesima volta da un gruppo altolocato di borghesi, il locale fungeva da luogo di ritrovo della gioventù bohemienne dell’epoca. Fondato per rispondere alle esigenze dei figli della borghesia, era caratterizzato da un’atmosfera particolare. Salotto letterario, El 4 Gats era animato da esposizioni di pitture mentre rappresentazioni di marionette e spettacoli di ombre cinesi catalizzavano l’attenzione del ceto più effervescente della città. Una curiosità a riguardo: lo stesso Pablo Picasso cominciò a frequentarlo nel 1899 organizzando l’anno successivo, allo scoccare dei suoi 19 anni, il suo primo vernissage. Percorrendo la traversa del Calle Fontanella che si affaccia sulla Plaza Catalunya, si raggiunge Casa Calvet, datata 1898 e perciò prima opera di Gaudì all’interno del quartiere dell’Eixample. Casa Calvet rappresenta un lavoro di transito tra il primo storicismo e il consolidamento dello stile modernista. La facciata piatta custodisce elementi curvilinei, cifre dominanti dell’architetto catalano. La produzione di Gaudì non si circoscrive comunque alla realizzazione di edifici ad uso privato. In attivo anche un parco ed l’ospedale de La Santa Creu. Il Parc Guell rappresenta il progetto di una città giardino secondo il modello inglese. Si trattava, almeno sulla carta, di una città satellite: periferica rispetto al centro cittadino ma atta a rispondere a tutti i desideri della borghesia offrendo agi e soluzioni residenziali di grande prestigio. Quello che doveva essere il quartiere più in della città non fu mai abitato. Nel 1922 il parco fu ceduto al comune ed ancora oggi i visitatori possono perdersi all’interno del suo dedalo di vie sperimentando quella che l’artista stesso definiva un’evidenza tellurica: una sorta di terremoto che aveva creato dal nulla le costruzioni presenti e rimaste incompiute. Sebbene la grande incompiuta del genio di Gaudì resti la Catedral. Così è chiamata confidenzialmente dai Barcelloneti la Sagrada Famiglia, dolce ossessione che occupò per 43 anni la vita di Gaudì. Allegoria del surreale la cattedrale è volutamente incompiuta, ad emblema di una catarsi non sempre riuscita. “Se i progetti sono buoni, si incaricheranno le nuove generazioni di terminarli e se sono cattivi è meglio che restino a metà costruzione, così risulterà poi più facile demolirli”. Fatto sta che, a distanza di quasi un secolo, nessuno si è sentito di portare a conclusione il più grande progetto di Antonio Gaudì la cui vita si interruppe improvvisamente sotto i binari di un tram. Esiste un timore reverenziale nel mettere mano alle creature di Gaudì; amato in vita e compianto nella morte dai suoi concittadini che, all’unanimità, gli conferirono l’appellativo di “architetto di Dio”.