Bali: l’isola degli dei

Di: Eleonora Boggio

Vaste risaie a gradoni si stemperano nel profondo blu dell’Oceano. Quest’ultimo è selvaggio al punto da apparire distante anni luce dalle rassicuranti acque del mar della Cina meridionale che lambiscono le coste peninsulari della Malesia. Bella e morbida: dal profumo intenso e persistente come i frangi pane della collana che viene offerta a chi sbarca dai fiammanti boeing venuti dall’occidente. È Bali: paradiso perduto dell’Indonesia.

Epifania di natura

Ba-Li: una cantilena di due sillabe. Un’ancestrale ninnananna che racchiude la storia di un’isola situata appena ad otto gradi a sud dell’Equatore, estrema propaggine dell’Indonesia. Piccola, eppure dedicata nel nome agli dei. Tanto che i suoi abitanti al momento della loro morte chiedono di reincarnarsi rinascendo nuovamente ai piedi delle pendici della caldera del Gunung Agung.
Isola eclettica che racchiude una collezione di ecosistemi differenti tra di loro dove convivono litorali sabbiosi e vette scoscese, ampi laghi e mari profondi. Prossima a Java, è tagliata da una catena di monti che incide in maniera speculare il nord dal sud dell’isola.
Il clima, piuttosto umido, raggiunge il suo tasso di maggiore intensità durante il periodo dei monsoni. Questi ultimi assicurano all’isola piogge copiose da dicembre ad aprile, alternate a mesi di sole ininterrotto a conferma di un paesaggio edenico. Una benedizione naturale che ha permesso agli abitanti di modellare le rive scoscese trasformandole in distese di risaie incendiate dal profumo dei flamboyant.

Denpasar: la capitale dei fiori

L’etimo del suo nome significa “vicino al mercato”. Questo perché un tempo Denpasar era un fiorente centro commerciale scelto dai rajah locali come sede dei loro palazzi. Visitabile in due ore Denpasar, fornisce un’immediata istantanea sulla vita locale. Caratteristica curiosa che colpisce immediatamente il turista più attento è dato dai nomi delle strade. Fate attenzione: quella che è l’arteria principale (Gunung Agung), nella sua parte centrale assume il nome di Gajah Mada per poi diventare Surapati.
Una passeggiata lungo i viali alberati non potrà prescindere dalla visita al museo Negri Propinsi Bali diviso in padiglioni dall’interessante struttura architettonica. Palazzi nobiliari (puri) e templi (pura) con o senza torri (kulkul) dotate di tamburi per chiamare il popolo a raccolta. Maschere di tutti i tipi che raccontano con la danza del barong, l’allegoria della lotta tra il bene incarnato dal dragone Barong e il male, rappresentato dalla strega Rangdà. E poi ancora tessuti: dai batik ai prada, abbelliti nella trama con fili d’oro e d’argento. Tradizioni e costumi si susseguono nelle sale dove il consiglio però è quello di non indugiare troppo: le bellezze della capitale vi attendono. Appena fuori dal museo lo sguardo si poserà sulle pagode dorate del tempio di stato dedicato al dio supremo Widi. A renderlo particolare il fatto che nonostante il politeismo, base dell’induismo locale, il tempio sia dedicato ad un dio supremo. Fermatevi per una sosta al Pasar Barung, il vivace mercato di uccelli in cui potrete acquistare gabbie di legno intarsiato straordinariamente variopinte. Salite su un bemo (ndr. minibus locali utilizzati come mezzo di trasporto per passare da una località all’altra) e prendete un biglietto con destinazione Sanur. Da qui avrà inizio il viaggio alla scoperta delle meravigliose spiagge nel sud dell’isola.

continua…

(Le immagini che seguono rappresentano la prima parte di un racconto per immagini del mio viaggio a Bali. Il filmato ha qualche anno, ma le riprese di Pierluigi Orler, sono ancora molto belle)


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